L’architettura della natura

 

“Avevo bisogno di immaginare edifici non architettonici” eppure “le Montagne sono nate da un progetto d’architettura come spesso mi capita”, racconta Michele De Lucchi a proposito della sua nuova serie di sculture in legno, esposte in queste settimane di marzo alla galleria Antonia Jannone in una personale intitolata Montagne.

 

Sono presentate quindici sculture in legno, noce oppure rovere, realizzate a partire dal 2012, che sono state immaginate a partire e insieme a una serie di incisioni, nate da piccoli e dettagliati schizzi a china. In questi piccoli disegni molto dettagliati De Lucchi individua sempre una forma architettonica di riferimento nel “bisogno di immaginare edifici non architettonici”, spiega, ma nel risultato finale, la corrispondenza tra architettura e natura, talvolta sovrapposte e quindi in paragone evidente, inevitabilmente ritorna.

 

Così i risultati scultorei delle Montagne di De Lucchi presentano un’intuizione autentica della corrispondenza nella forma tra costruzioni piramidali, torri, templi greci, ziqqurat, e le architetture naturali delle cime montuose. La sua intuizione risale dunque all’origine del rapporto esistente tra natura e architettura sin dagli albori delle civiltà. 

 

La stratificazione del legno, spesso lasciato al naturale ma in alcune opere anche lucidato, infatti richiama nella caratteristica lavorazione a strati, sia la stratificazione delle rocce dolomitiche, sia le sovrapposizioni a incastro delle pietre delle soluzioni architettoniche monumentali dell’antichità, in un ambivalenza di ispirazione sia al mondo naturale che all’intervento umano. “Mi hanno costretto a un serio esercizio costruttivo per poterle realizzare con strumenti semplici e arcaici come sono gli attrezzi per lavorare manualmente il legno massello in pezzi di piccole dimensioni, incollando, intagliando, levigando, ricercando l’effetto naturale in forme ineludibilmente geometriche”, spiega.

 

Montagne davvero curiose queste poetiche costruzioni scalari turrite a gradoni che s’assottigliano verso l’alto con “il susseguirsi continuo delle righe” che “fa assomigliare il rilievo di una montagna a una impronta digitale e chissà che non lo sia per davvero.”

 

 

Vladek Cwalinski