Formare gli operatori sanitari, individuare precocemente la patologia, promuoverne un trattamento tempestivo ed efficace, sensibilizzare la popolazione sul tema. Sono questi gli importanti obiettivi del progetto biennale “Depressione in gravidanza e post partum: modello organizzativo in ambito clinico, assistenziale e riabilitativo”, finanziato dalla Regione Lombardia, allo scopo di creare un modello organizzativo clinico-assistenziale di presa in carico della paziente con depressione perinatale. All’interno del progetto, O.N.Da, da anni impegnata sul tema, ha svolto un’indaginepresentata oggi nelle sede della Regione, su 502 donne e 500 uomini lombardi fra i 25 e i 55 anni, al fine di comprenderne le percezioni e i vissuti relativi a questa malattia.
La depressione post-partum è ritenuta dagli intervistati un disturbo grave, che può colpire la donna in seguito alla nascita di un figlio. Il 20% delle partecipantialla survey dichiara di aver ricevuto una diagnosi di depressione perinatale o pensa comunquedi averne sofferto, in media all’età di 31 anni e durante laprima gravidanza. Principali fattori di rischio riconosciuti dal campione sono il cambiamento di vita e le nuove responsabilità della neomamma, gli squilibri ormonali, la fragilità e debolezza emotiva, lo stress del parto e il sovraccarico di impegni. Tristezza, irritabilità, senso di inadeguatezza e perdita di interesse sono i sentimenti provati più di frequente dalle pazienti.
Nel complesso, i lombardi si reputano poco preparati su questa patologia: le fonti informative più utilizzate sono l’esperienza diretta o indiretta e il “sentito dire”, oltre a internet e alla stampa. Quasi il50% delle donne intervistate, finché non si scontra con il problema, fatica a ipotizzare che le possa capitare davvero. Tra coloro che ne hanno sofferto, meno della metà ne ha parlato con un medico; chi invece lo ha fatto e ha ricevuto una diagnosi di depressione post-partum si è rivoltaprincipalmente al medico di famiglia (43%), in misura minore allo psicologo (22%) o al ginecologo (19%).
Essenziali, per affrontare la malattia, sono soprattutto la vicinanza e il supporto dei familiari e del partner: dal punto di vista pratico, per far fronte alle attività quotidiane, ma anche su un piano emotivo, attraverso l’ascolto e il sostegno psicologico. Gli uomini senza esperienza personale di depressione perinatale affermano che si sentirebbero coinvolti in prima persona nell’affrontarla, ritenendola quasi un problema “di coppia” (72%); in realtà, solo il 50% di coloro che l’hanno sperimentata si è però sentito partecipe e in grado di supportare la propria compagna.
“Ogni anno, in Italia, la depressione perinatale colpisce tra le 55mila e le 80mila donne”, afferma Francesca Merzagora, Presidente di O.N.Da. “Le evidenze scientifiche mostrano che un disturbo dell’umore, se diagnosticato in ritardo, può avere ripercussioni sulla neomamma e sul bambino.
Secondo quanto emerso dalla ricerca, 1 genitore lombardo su 3 afferma di aver sofferto o che la propria partner ha sofferto di depressione post-partum, soprattutto in occasione del primo figlio.
Il 53% di coloro che l’hanno vissuta, tuttavia, non ne ha parlato con il proprio medico. Tra chi invece non ne ha mai avuto esperienza, solo 1 donna su 4 e 1 uomo su 10 si reputano in grado di riconoscere il disturbo. Sono dati che fanno riflettere e rendono necessario promuovere una maggiore informazione sulla malattia: come identificarla, a chi rivolgersi in caso di difficoltà e come affrontarla. Chi l’ha sperimentata direttamente, oltre ai bisogni di natura pratica ed emotiva, evidenzia la necessità che Istituzioni e Strutture Sanitarie attuino iniziative concrete. In questo contesto si colloca l’iniziativa regionale che ci vede impegnati accanto all’A.O. Fatebenefratelli di Milano e a Progetto Itaca, per supportare le madri in difficoltà, attraverso un’assistenza domiciliare integrata, e i papà mediante la creazione di gruppi di sostegno”.
“In questi 10 anni abbiamo affrontato con grande successo il tema del riconoscimento dei fattori di rischio e dei fattori protettivi nel periodo perinatale”,dichiara Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Salute mentale e Neuroscienze dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto.“Mancava però una parte importante: andare dalle donne, avvicinarle alla possibilità di avere riconoscimento e cura della propria sofferenza. Solo unendo queste due parti è possibile individuare le aree di maggiore sofferenza, di solitudine, di isolamento, nel quale alcune donne, nel periodo post partum, sono costrette. Un obiettivo oggi raggiunto grazie a questo progetto di ricerca indipendente, finanziato dalla Regione Lombardia, che sta consentendo a psichiatre, psicologhe e pediatre di recarsi direttamente a casa di donne che da poco hanno partorito, per dare conforto, attenzione e cura sia a loro che al loro bambino, per superare questo momento difficile. Una delle situazioni che aggravano la condizione depressiva è la difficoltà culturale e linguistica. Non a caso, molte donne coinvolte sono straniere, libanesi, cinesi, peruviane, o donne che hanno sposato uomini di altri Paesi e culture. È importantissimo creare un clima di interazione e di comunicazione che permetta a tutti, mamme e papà, l’avvicinamento alle cure. Un progetto così straordinario dimostra che è possibile portare assistenza e servizi sul territorio, a domicilio, anche per queste problematiche, a donne che in seguito avranno certamente meno difficoltà ad utilizzare i servizi all’interno delle strutture ambulatoriali o ospedaliere. Il progetto, che coinvolge anche i volontari del Progetto Itaca, comprende infine uno specifico settore dedicato agli uomini, ai padri, perché il nostro obiettivo è rafforzare nel modo più forte possibile tutta la famiglia”.
“Un team multidisciplinare che si avvicina alla mamma che soffre di depressione perinatale e alla famiglia per dare assistenza a domicilio: questa è l’innovatività del progetto che stiamo realizzando”, sostiene Luca Bernardo, Direttore del Dipartimento Materno-infantile dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico e coordinatore scientifico del progetto. “L’aiuto viene dato non solamente durante la permanenza in ospedale ma anche a casa, proprio nel momento in cui la neomamma ha più bisogno. Un’équipe dedicata giunge a domicilio e, in particolare, un neonatologo pediatra può parlare con la mamma e visitare il bambino in senso olistico: dal punto di vista armonico, del movimento, della tonicità e della suzione. Questa valutazione consente di dare alla mamma, che è in difficoltà, spesso anche grave, la serenità di cui necessita durante lo straordinario ma, al tempo stesso, difficile percorso della maternità. L’obiettivo finale è di farle comprendere che questa situazione non è determinata dalla sua incapacità o inadeguatezza al ruolo di madre e che è necessario affrontarla con l’aiuto di professionisti dedicati. I problemi di comunicazione che a volte ci sono tra genitore e medico possono essere superati dal modello di presa in carico della paziente proposto dal progetto: un rapporto chiaro, diretto e intimo, come quello che può essere creato nell’ambiente protetto e accogliente della casa, può dare alla mamma la tranquillità necessaria per vivere più serenamente questa fase della vita”.