12/04/2015 – 30/11/2015
A CURA DI CAROLINE BOURGEOIS,
IN COLLABORAZIONE CON L’ARTISTA
Palazzo Grassi presenta la prima retrospettiva di Martial Raysse al di fuori dei confini francesi. L’esposizione, ideata da Caroline Bourgeois in stretta collaborazione con l’artista, raccoglie circa 350 opere – dipinti, sculture, neon e video – alcune delle quali mai esposte al pubblico (a titolo indicativo, più di 250 opere di questa selezione non figuravano nella retrospettiva del Centre Pompidou).
L’esposizione di Palazzo Grassi si affranca dall’andamento cronologico e instaura un dialogo ininterrotto tra opere di discipline differenti – pittura, disegno, scultura, installazioni, film… – che abbracciano l’intera carriera dell’artista. Questa scelta evidenzia la profonda continuità dell’attività di Martial Raysse, che da quasi cinquant’anni indaga gli stessi temi: il ruolo dell’artista, il lavoro della pittura, il rapporto con la storia dell’arte, la politica… con una libertà costantemente riaffermata e mezzi in continuo rinnovamento. Testimonia inoltre “il permanere, lungo tutta la sua carriera, di una preoccupazione o di un metodo – di una poetica”, per riprendere le parole di Didier Semin. Evidenzia infine la radicalità costante dell’artista, già presente nelle opere giovanili degli anni cinquanta-sessanta e forse oggi ancora maggiore, e la posizione centrale occupata dalla dimensione poetica e dallo humour.
La mostra “Martial Raysse” permette di scoprire la sua importante produzione pittorica – dai ritratti colorati di donne realizzati durante il periodo Pop, alle grande composizioni più recenti ispirate ai grandi maestri del passato – mettendo l’accento sulle risonanze che ha stabilito tra i suoi dipinti nei sessant’anni di carriera. Il percorso dell’esposizione si sviluppa infatti come un continuum che investe la totalità degli spazi di Palazzo Grassi (le sale espositive ma anche i luoghi di passaggio, il ristorante…) e immerge il visitatore nella profusione creativa dell’universo di Martial Raysse, privilegiando i giochi prospettici, le corrispondenze, i leitmotiv, le trasversalità, gli echi, i rimandi… tra opere di epoche, tecniche e soggetti diversi: i pezzi recenti fanno luce in modo nuovo su quelli precedenti, mentre questi ultimi inquadrano la produzione più contemporanea in una prospettiva storica.
Il progetto museografico dell’esposizione – in particolare il design delle vetrine dell’atrio di Palazzo Grassi – è stato affidato a Martin Szekely le cui creazioni sono presenti in numerosi musei come il MoMa a New York, il Centre Pompidou e il Musée des Arts Décoratifs a Parigi e il MUDAM a Lussemburgo.
“”2015-1958 / 1958-2015: affrontare la storia a ritroso, non per riavvolgere il filo del tempo e tornare all’inizio, ma piuttosto per mettere a confronto epoche diverse: ecco l’intenzione della mostra che Palazzo Grassi-Pinault Collection dedica oggi a Martial Raysse.
L’obiettivo è quello di offrire allo stesso tempo alcune prospettive e una retrospettiva, avvicinandosi al lavoro di Martial Raysse non secondo una scansione cronologica, ma da un punto di vista contemporaneo – a partire cioè dalle sue opere più recenti. È nostra convinzione, in effetti, che i lavori a noi più vicini modifichino il modo in cui osserviamo i precedenti, assicurando una maggiore profondità dello sguardo e rilanciando la questione del ruolo della pittura e di quello dell’artista.
Come afferma acutamente Giorgio Agamben, “Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace piú degli altri di percepire e afferrare il suo tempo”.4
Martial Raysse fa parte di quel ristretto novero di artisti per i quali la vera posta in gioco è il confronto con la “grande” storia dell’arte, e questo fin dall’inizio del suo percorso. Tale confronto può avvenire attraverso la presa di distanza, lo humour o la riproduzione delle opere dei maestri, in virtù del principio enunciato da Eugenio Garin in base al quale “imitare […] è assumere coscienza di sé, […] ritrovare la propria natura”. 5 È così che, nel corso di tutta la vita, Raysse compie il proprio apprendistato, rendendo visibili – sullo sfondo, per così dire – non soltanto la storia dell’arte e i capolavori del Rinascimento, ma anche la banalità del quotidiano, dall’estetica dei Monoprix al tedio delle piccole cose.
Diversamente dagli artisti rinascimentali, che dovevano sottostare ad alcuni vincoli – in particolare nel trattamento di soggetti religiosi o nei ritratti dei committenti – Martial Raysse si è speso, nel corso di una vita intera, per mantenere la propria indipendenza. Sorta di utopia umana, il suo modo di rappresentare la vita di ognuno lascia pensare che l’artista voglia ridarci speranza nella nostra condizione. Il suo amore per la rappresentazione delle donne va al di là dell’attrazione sessuale o della bellezza classica; Raysse è affascinato dalla Sconosciuta.
Nei suoi quadri storici è sempre presente una distanza critica rispetto a ciò che si può vedere o pensare. L’artista dà nuova vita a temi mitologici (pensiamo a L’Enfance de Bacchus o Le Jour des roses sur le toit) e per loro tramite parla del consumismo sfrenato, della distanza dalla politica (Poisson d’avril e Ici Plage, comme ici-bas), o ancora della volontà di ridere assieme al proprio tempo (Le Carnaval à Périgueux).4
Pittore, scultore, disegnatore, ma anche poeta e cineasta… Ognuno di questi termini – per forza di cose riduttivo – cerca invano di definire un artista molteplice e inclassificabile, la cui operaattraversa la seconda metà del XX secolo e continua ancor oggi a sorprenderci con la sua singolarità.
Dando vita a un dialogo ininterrotto tra le opere, il percorso espositivo offre uno sguardo nuovo sull’impegno di Martial Raysse, evidenziando il costante andirivieni dell’artista tra i propri lavori.
L’esposizione rende inoltre visibile l’enorme lavoro sotteso a una tale opera, che – al di là della creazione di “begli oggetti” – mira a proporre una sorta di filosofia della vita. Attraverso la radicalità dei colori, la libertà di elaborazione, Martial Raysse ci fa vedere la bellezza del mondo, la necessità che ciascuno vi trovi il proprio ruolo, la responsabilità del singolo nei confronti degli altri e della comunità.
Nel percorso espositivo abbiamo cercato di mostrare tutti gli aspetti del lavoro dell’artista: le piccole sculture, che spaziano da semplici figure al gioco con se stesso, il disegno come momento di lavoro, i film, che mostrano le sue pulsioni libertarie, e per finire i quadri, che costituiscono la parte più compiuta della sua opera. Abbiamo inoltre punteggiato il percorso di opere assimilabili, in qualche modo, ad autoritratti capaci di rivelare l’incredibile esigenza e la solitudine che l’artista ha dovuto fare proprie per proseguire nella propria ricerca.
Le opere più recenti illuminano di nuova luce quelle della giovinezza ed espongono la loro radicalità, provocando un vero e proprio choc visivo. L’artista, attraverso l’uso di colori e pigmenti puri, propone uno sguardo altro sul mondo – quell’“igiene della visione” sviluppata fin dagli anni sessanta – e ci insegna a vedere, in quanto “essere moderni significa prima di tutto vederci più chiaro”. 6
In conclusione, lasciamo la parola all’artista: “Ho sempre pensato che il fine dell’arte fosse cambiare la vita. Ma oggi l’importante, mi sembra, è cambiare ciò che ci circonda a ogni livello dei rapporti umani. C’è chi pensa che la vita debba essere copiata. Altri sanno che va inventata. Rimbaud non si cita, si vive”.7
Caroline Bourgeois””
1 Giorgio, Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Roma, Nottetempo, 2008, p. 13.
2 Martial Raysse, citato in Éric Tariant, Le Journal des Arts n. 412, 25 aprile-8 maggio 2014, p. 35.
3 Martial Raysse, citato in Judith Benhamou-Huet, “On a retrouvé Martial Raysse”, in Le Point n. 1943,
10 dicembre 2009. p. 100.
4 Giorgio, Agamben, op. cit., p. 9.
5 Eugenio, Garin, “La cultura fiorentina nell’età di Leonardo”, in Scienza e vita nel Rinascimento italiano, Bari, Laterza, 1965, pp. 57-85.
6 Si veda la conferenza tenuta da Martial Raysse al Centre Pompidou il 13 maggio 1984, e pubblicata con il titolo De quelques paroles sur la première épître de Paul aux Thessaloniciens…, Parigi, Éditions Janninck, 1992.
7 Martial Raysse, citato in Jacques Michel, “Le cinéma de l’autre côté du miroir”, in Le Monde, 16 novembre 1972.
BIOGRAFIA
Martin Szekely, nato nel 1956 e formatosi alle scuole Boulle e Estienne, si fa notare con la sua prima collezione di mobili, intitolata Pi. La collezione, sviluppata tra il 1982 e il 1985 grazie a un finanziamento per la ricerca del VIA (Valorisation de l’Innovation dans l’Ameublement), include in particolare l’emblematica chaise longue Pi.
Da quel momento la sua produzione si suddivide in due categorie; da una parte, le edizioni in serie limitata di mobili e oggetti, regolarmente esposte; dall’altra, prodotti e realizzazioni che derivano dalla sua collaborazione con l’industria e dalle commissioni pubbliche.
Tra le esposizioni personali si segnalano “Le collezioni Pi” (1985), “Containers” (1987), “Pour faire salon” (1989), “Initiales” (1991) e “Satragno” (1994) alla galleria Néotu (Parigi), “Martin Szekely designer” (1998) al MAC’s / Site du Grand-Hornu, des plats (2000), “six constructions” (2002), “des étagères” (2005), “concrete” (2008), “heroic shelves and simple boxes” (2009) e “Units” (2011) alla galleria Kreo (Parigi), “Martin Szekely – Ne plus dessiner” (2011) al Centre Pompidou (Parigi), “Artefact e MAP” (2014), Blondeau & Cie (Ginvra).
Le sue realizzazioni sono presenti nelle seguenti collezioni: Musée national d’art moderne / Centre de création industrielle, Centre Pompidou, Parigi; Fonds national d’art contemporain, Parigi; Musée des Arts Décoratifs, Parigi; MAC’s / Site du Grand Hornu, Le Grand Hornu; Musée d’art moderne Grand-Duc Jean, Luxembourg; Museu do Design, Lisbona; Museum of Modern Art, New York; San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco; Winterthur Museum, Winterthur (USA); Israel Museum, Gerusalemme; Victoria & Albert Museum, Londra; Musée des beaux-arts de Montréal, Montréal.
Nel 2010, le edizioni JRP|Ringier (Zurigo) pubblicano l’opera Martin Szekely che ripercorre la sua produzione degli anni 1998-2010, con un saggio di Elisabeth Lebovici.