NUTRIRE IL FUTURO: STILI DI VITA ALIMENTARI E CONTENUTI NUTRIZIONALI

CIR food ha promosso un momento di approfondimento sul futuro della alimentazione. Tra tecnologia, sostenibilità e nuove tendenze, quali saranno i driver che guideranno le abitudini nutizionali di domani? L’evento si è tenuto a Milano , nella CIR Vip Lounge a Expo (stecca G1) ,organizzato con il patrocinio dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e la collaborazione del magazine on-line ‘Il Giornale del Cibo‘.

All’incontro, moderato dal giornalista Luca Telese, sono intervenuti:

Giuliano Gallini
Direttore Commerciale e Marketing CIR food

Lucio Lucchin
Past-President Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica ADI

Elisabetta Moro
Professore Accademico, Antropologo, Scrittrice e Giornalista

Marino Niola
Professore Accademico, Antropologo, Scrittore e Giornalista

Andrea Segrè
Professore Accademico, Agronomo ed Economista

I numeri che “non tornano”

Andrea Segrè – Professore Accademico, Agronomo ed Economista – ha aperto  l’incontro parlando di numeri, rapporti e proporzioni, che sono lo specchio drammatico del nostro pianeta.

Nel 2015 le stime parlano di circa 10 miliardi di persone che avranno diritto al cibo buono, sano, nutriente, sufficiente. Oggi, invece, circa 863 milioni di esseri umani – sostiene la FAO – soffre la fame. Ma più del doppio, e quindi circa 2 miliardi di persone, è in sovrappeso, con una quota rilevante di obesi.

E se la FAO invita ad incrementare la produzione agricola, è opportuno porre l’attenzione anche sui concetti di sostenibilità ambientale.

La Dieta Mediterranea come “Patrimonio Materiale dell’Umanità”

Di Dieta Mediterranea, come “Patrimonio Materiale dell’Umanità”, ne ha  parlato Elisabetta Moro, antropologa, scrittrice e giornalista che colloca il salto di cultura alimentare, subito dopo la seconda guerra mondiale quando le forti carenze alimentari dell’Europa  portano la FAO a riunirsi in Italia per decidere come sanarle e sfamare il “Vecchio Continente”.

Nel 2010 l’Unesco riconosce la Dieta Mediterranea “Patrimonio Materiale dell’Umanità”: ma non come regime alimentare bensì come stile di vita.

E nel 2015, in Expo, il Centro di Ricerche Sociali sulla Dieta Mediterranea di Napoli – guidato daElisabetta Moro – presenta una piramide alimentare, che ne indica i 7 comportamenti fondamentaliconvivialità, tradizione, cucinare insieme, attività fisica, stagionalità, a scuola, niente sprechi.

E’ evidente che quello che gli antropologi oggi sostengono è che la cultura del cibo deve essere un sistema integrato di valori e di condivisione. “Solo se vissuto così potrà aprirsi per noi un futuro, se non radioso, almeno splendente” dichiara la Dott.ssa Moro.

Lucio Lucchin  apre l’intervento facendo riferimento alla visita recente di Michelle Obama ad Expo, dove la First Lady americana ha molto parlato dei rudimenti della dieta mediterranea e della cultura dell’orto. E rileva un dato importante: il 75% dei cibi che noi mettiamo nel piatto è gestito da 10 multinazionali che decidono il cosa, il come e il quando dovremmo mangiare. La Coca Cola o la Barilla, suggeriscono quindi alla popolazione la dieta alimentare studiata e proposta dai loro ricercatori.
C’è evidentemente un confine etico delicatissimo tra industria, scienza e ricerca: è fondamentale che ci sia un rapporto, ma nel senso che l’industria deve sostenere la ricerca, indipendentemente dai suoi interessi di business.

Come nutrizionista, infine, non può fare a meno di ribadire che la funzione primaria del cibo è la nutrizione: la cultura, la biodiversità, la sostenibilità, ecc. sono concetti estremamente importanti ma devono senza dubbio venire dopo l’evidenza che gli aspetti nutrizionali sono fondamentali. “Sapete che il 30% dei ricoverati in strutture ospedaliere in Italia ma anche in Europa risulta essere malnutrito per difetto” chiede? Tutto questo pare paradossale se pensiamo al rapporto alimentazione/iperalimentazione/malnutrizione.

 

Marino Niola – antropologo, scrittore e giornalista, ha fatto un interessante profilo dell’homo dieteticus. E’ l’uomo contemporaneo dell’Occidente Opulento, è il figlio spaventato dell’homo economicus.

L’uomo economicus era quello che pensava di avere davanti a sé il progresso, il futuro: pensava che i suoi figli sarebbero stati meglio di lui (esattamente il contrario di quello che pensiamo noi oggi). L’uomo dieteticus è quello che investe tutto sul suo corpo: ne fa una specie di capitale, di bene rifugio capitale immunitario.

“Noi siamo quello che mangiamo” diceva Feuerbach, ma Niola ritiene invece che oggi “noi siamo quello che non mangiamo”.

L’homo dieteticus, a seconda della tribù alimentare a cui appartiene, valorizza certi cibi, addirittura li considera oggetto di culto e ne demonizza altri: per cui ci sono oggi gli alimenti salvavita, quelli che ci promettono snellezze, di farci vivere a lungo, di non farci più ammalare, ecc..
Ma ci sono anche gli alimenti che vengono demonizzati: burro, zucchero, sale, ecc.. “In certi casi c’è della ragione – sostiene Niola– ma è sempre questione di proporzione, di quantità”.

Paola Sucato – blogger e chef editor di WorldRecipes di Expo ha  evidenziato che in Italia c’è la moda del distinguersi attraverso le ricette: chi le fa, chi le cucina, chi le mangia. Ci sono quindi testate molto verticali, blog che parlano soltanto di alcuni stili alimentari che è poi un modo di distinguersi, sia a livello editoriale sia a livello comportamentale. E non ci si vuol far contaminare, almeno sulla carta. Perché poi in realtà ci facciamo influenzare e la cucina della mamma, vince sempre.
Il concetto di mamma è chiaramente simbolico ed esprime il ritorno alla tradizione, alle origini, che è nell’istinto di chi fa l’orto sul balcone, di chi macina in casa i cereali presi al mulino, di chi ricerca e usa il lievito madre ecc… Sono queste tutte tendenze che in qualche modo riportano a una storia familiare contadina.

“ Curiosamente la tradizione torna, invece che dal passato, dal futuro” fa notare Niola…” è’ la rete a rilanciare comportamenti che apparentemente sono comportamenti arcaici, come le comunità che si scambiano il lievito madre. E’ la community immateriale a ricreare comunità materiale,…”

Italia: un paese di Master Chef o Ratatouille?

Quegli chef, che ai tempi di Lutero e Calvino erano considerati “emissari” del diavolo perché corrompevano la “naturalità dei cibi”, oggi sono personaggi mediatici, ammirati e seguiti dalla massa. Fanno moda, fanno tendenza, influenzano.

E’ doveroso però parlare di un’altra categoria di chef: quella rappresentata dai cuochi della ristorazione collettiva, il più grande ristorante italiano. Quelli che ogni giorno preparano i pasti per gli operai, gli impiegati, gli studenti delle scuole, a dei prezzi sempre più bassi. Quelli che oggi dovrebbero essere valorizzati più che mai perché nella cultura del cibo ci sta anche il valore delle persone che ogni giorno, quel cibo, lo mettono in tavola.

 

Per saperne di più

http://www.cir-food.it/